Masha Amini, ventiduenne iraniana di origini curde-sunnite è morta il 16 settembre. Questa notizia ha fatto scoppiare una miccia già accesa da moltissimo tempo.
Masha, infatti, è morta “per un capello fuori posto”. Arrestata e portata in prigione per l’uso poco consono del velo, dall’edificio delle forze dell’ordine è però uscita a bordo di un’ambulanza e morta due giorni dopo.
Quella che sembra essere una violazione dei costumi, è invece una vera e propria violazione della legge, perché la repubblica islamica obbliga, per cause ideologiche, le donne a portare abiti appropriati. L’hijab potrebbe anche non essere considerato il simbolo della repressione, dal momento che molte donne lo indossano volontariamente per motivi religiosi o di tradizione.
Quello che grava davvero sul genere femminile è la mancanza di una scelta, la decisione personale di volerlo o meno indossare.
La versione ufficiale raccontata dalla polizia religiosa di Teheran è quella secondo cui la ragazza avrebbe avuto un attacco di cuore, ma lo stato di repressione, le leggi stringenti e una cultura misogina, raccontano altro.
Quale che sia la verità, l’arresto e la morte di Masha Amini hanno ridato la voce alle donne Iraniane che, già dal funerale della ragazza, hanno iniziato manifestazioni e rivolte, sfidando il regime del Mollah.
Quel velo, l’hijab, che è stato causa scatenante di tutta questa storia, adesso viene bruciato in segno di protesta in più di 150 città, e i capelli, quelli da tenere coperti a tutti i costi, vengono ora tagliati dalle donne, e anche da molti uomini, al grido “Zhen, zhian, azadi”. “Donna, vita, libertà.
Fino ad oggi sono stati uccisi più di 80 manifestanti e arrestate più di 1000 persone.
Le rivolte non si limitano all’Iran, così come le repressioni. La Turchia continua ad attaccare attiviste, comandanti donne del Rojava ed esponenti politiche, allo scopo di inviare un messaggio al resto della popolazione, eliminando personaggi di spicco e indebolendo le rivolte nel nord della Siria.
In Italia e in gran parte dei Paesi Occidentali, sono moltissime le dimostrazioni di vicinanza e sostegno alle donne iraniane, un messaggio che arriva forte.
Nelle piazze italiane, centinaia di persone mostrano il proprio sostegno alle donne iraniane tagliandosi una ciocca di capelli; una lotta per la conquista di quei diritti negati.
Dall’Iran giunge però un avvertimento nei confronti degli “stranieri” presenti sui loro territori, quello di rispettare le leggi del Paese.
Il 28 Settembre è stata arrestata a Teheran Alessia Piperno, una blogger di viaggi italiana che si trovava in Iran da luglio, dopo aver viaggiato in Pakistan, Marocco, Honduras, Messico, Panama, Islanda e Sri Lanka, tra gli altri.
I motivi del suo arresto non sono del tutto chiari. Una delle ipotesi è che si sia unita alle proteste causate dalla scomparsa di Masha Amini, ma nulla è trapelato, se non una telefonata in cui Alessia diceva a suo padre di essere in una prigione di Teheran, fermata dalla polizia mentre era con un gruppo di amici a festeggiare il proprio compleanno.
Dall’Italia arrivano molte critiche nei confronti di Alessia Piperno, accusata di esserla andata a cercare andando in Iran.
Ma Alessia cercava la bellezza nei luoghi che visitava e che poi raccontava nel suo blog, era arrivata ben prima delle proteste e della morte di Masha Amini, in un Paese libero da rivolte e in cui tutti potevano viaggiare.
In risposta alle critiche che giungono dalle tastiere di tutta Italia, Gianluca Gotto, amico di Alessia Piperno scrive una lunga lettera, esortando alla comprensione e alla disponibilità ad aiutare, a restare fuori da ogni giudizio perché “in questi tempi così tetri, bellicosi e pieni di conflitto, abbiamo un disperato bisogno che una persona come Alessia torni ad essere libera”.