10 settimane di quotidiani appuntamenti con i post su Facebook di Toni Capuozzo, durante il primo lockdown; sono diventati un libro: “Lettere da un Paese chiuso”.
di Marta Fantoni
A Pavia, presso il palazzo del Broletto, il giornalista Toni Capuozzo racconta questa sua raccolta di pensieri, sentimenti, emozioni, di tutti coloro che hanno interagito con lui attraverso i post. Capuozzo ricorda che la preoccupazione più grande, quando ci fu il primo caso di Covid-19, era quella che il caso si trasformasse in un problema razziale, che ci fossero delle reazioni avverse nei confronti dei cinesi.
Invece, come ben sappiamo, così non fu, o perlomeno successivamente non divenne il problema principale; ad esserlo fu la grande paura per il Covid, che iniziava a dilagare in tutta Italia, così come nel resto del mondo. La società si trovò dunque impreparata, sconvolta da una situazione che non era in grado di gestire: è l’esperienza di sindaci di piccole città che erano stati eletti, magari per affetto, magari erano alle prime armi, e tutto d’un tratto si son ritrovati catapultati in una situazione, sconcertante e ingestibile. In questo scenario estraniante, Toni aveva la funzione quasi di psicologo, per i suoi lettori di Facebook, a lui si rivolgevano per sfogarsi, per trovare una parola di conforto o anche una spalla su cui piangere… per poter condividere e non sentirsi soli; e anche per lui era uno sfogo scrivere, e così facendo ogni giorni si rendeva sempre più consapevole del fatto che eravamo felici e non lo sapevamo. Ci racconta anche con tono scherzoso, come i mesi di gennaio e febbraio, che hanno preceduto lo scoppio della pandemia, per lui fin da piccolo mesi foschi e noiosi, invece nel marzo del 2020, gli fossero mancati così tanto, che sembravano la realtà più bella che ci potesse essere.
In questi suoi post Capuozzo, un famoso reporter di guerra, proprio per questa sua veste professionale, non ha potuto far a meno di utilizzare metafore belliche, la parola più usata: nemico. Il nemico fa sempre paura, in guerra il nemico non ha sempre un volto, lo si identifica con una nazione, o una comunità specifica. Ora però col “virus” era diverso : il nostro nemico era invisibile e ci impediva, a differenza di quando si è in guerra, di appartenere ad un gruppo. In guerra si scappa da bombardamenti, ma non ci si è mai dovuti distanziare dagli altri, si combatteva insieme, si moriva insieme, in guerra il gruppo conta. Con il Covid questo ci è stato impedito, ognuno era solo con se stesso: Toni ci racconta di come un amico, durante il lockdown, si potrebbe riscoprire tutt’altro, oppure in senso positivo potremmo riscoprire una persona che magari viveva con noi da anni, ma non l’avevamo mai conosciuta realmente. In questa dimensione di solitudine forzata i rapporti tra le persone hanno preso traiettorie inaspettate: alcuni si sono fortificati, ma tanti, troppi, si sono distrutti.
Anche la morte ha un sapore diverso, il compianto è fortemente più distaccato, l’impossibilità di fare il funerale, e di affiancare la persona amata nei suoi ultimi respiri di vita: questo è ciò che condanna Toni, questo tipo di morte, che oltre alla sofferenza della malattia, toglie all’uomo la dignità. Nonostante Toni abbia vissuto sul campo di guerra, non si sarebbe mai aspettato di dover fronteggiare un coprifuoco o di dover star segregato in casa; anche se, ci dice, leggendo il libro “Spillover”, uscito nel 2012, il cui argomento principale sono le pandemie, si ha la sensazione che tutto era prevedibile, leggere questo libro dopo il Covid suscita quasi paura, perché sembra una predizione di ciò che poi è stato. All’ultima domanda sull’emergenza educativa, Toni si esprime considerando come questa emergenza Covid ha marchiato a fuoco l’educazione dei ragazzi, la loro vita, spingendoli su una scia di cambiamento, però, ahimè, che non sappiamo con esattezza dove ci porterà.