Sorvegliare e punire? Per un superamento del patto di stabilità in Europa
Il patto di stabilità e crescita è stato direttamente responsabile della redistribuzione della ricchezza a scapito dei lavoratori e delle classi medie in Europa ed è in quanto tale incompatibile con ogni piano di sviluppo alternativo, ecosostenibile e democratico.
Queste le tesi sostenute nel rapporto commissionato dal deputato europeo del gruppo della Sinistra unitaria europea / Sinistra verde nordica (GUE/NGL) Martin Schirdewan e realizzato dalla ricercatrice Emma Clancy. La revisione del patto di stabilità e crescita programmata per il 2020 rende quindi prioritario una ridiscussione profonda sull’efficacia e sull’opportunità di mantenere un sistema di regole che, come mostra il rapporto, ha contribuito ad aggravare la crisi dell’eurozona, indebolendo la sostenibilità del debito pubblico dei Paesi dell’euro-periferia e inasprendo le diseguaglianze economiche al punto da mettere in discussione la legittimità della costruzione europea.
Il rapporto mostra come le misure imposte dalla Commissione europea dal 2011 al 2018 nel quadro delle raccomandazioni specifiche per Paese previste dalla normativa approvata in seguito alla crisi finanziaria globale, con cui le misure del patto di stabilità e crescita sono state rafforzate e rese vincolanti, abbiano mirato appunto ad aumentare l’età pensionabile o ridurre la spesa pubblica per le pensioni (105 raccomandazioni in totale), la riduzione dei fondi per la sanità pubblica o la sua privatizzazione (63 raccomandazioni), il blocco dell’aumento dei salari (50), la riforma al ribasso delle tutele contrattuali per i lavoratori (38) e la riduzione dei sussidi per la disoccupazione o per le persone con disabilità (45). La filosofia dell’austerità portata avanti dal patto di stabilità è quindi servita deliberatamente a redistribuire la ricchezza a favore del capitale e delle élite europee, danneggiando le classi medio-basse e deprimendo così la domanda interna ai Paesi in più grave difficoltà economiche, peggiorandone lo stato dei conti pubblici in una spirale deflattiva che ha aggravato le asimmetrie fra gli Stati Membri dell’eurozona.
La politica fiscale è uno strumento chiave per la ridistribuzione della ricchezza e per il contenimento delle diseguaglianze sociali. I vincoli posti dal patto di stabilità hanno limitato e continuano a limitare proprio la capacità dei singoli Stati di adempiere a questa fondamentale funzione redistributiva. Se alcune voci di spesa e di investimento sono state scomputate dal patto, il trasferimento diretti tramite un aumento della spesa per programmi di welfare pubblico e per la nazionalizzazione di industrie e servizi strategici – fortemente limitata dalle nuove regole della Commissione – sono fra le cause determinanti del persistere della Grande Recessione a livello europeo.
La prossima revisione del patto di stabilità costituisce quindi un’occasione unica per riformare radicalmente i principi e regole del governo economico e fiscale dell’Unione economica e monetaria europea. I piani per un “Green New Deal” e la relativa esclusione degli investimenti “verdi” dai vincoli europei sono insufficienti, come denuncia il rapporto, in assenza di un profondo ripensamento delle regole del gioco. La stessa transizione climatica, per l’entità degli investimenti e dello sforzo richiesto da parte del pubblico, risulterebbe in tale senso incompatibile con il patto di stabilità e crescita. Il rapporto avanza così la necessità che le decisioni relative alla spesa pubblica e all’indebitamento abbiano come finalità la crescita e l’abbattimento delle diseguaglianze, tornando ad essere così sostanziale prerogativa dei parlamenti nazionali. Tale decentramento risulterebbe insufficiente in assenza di un parallelo coordinamento europeo nella direzione di maggiori investimenti pubblici finalizzati a riformare i sistemi produttivi nazionali in senso sostenibile a livello ecologico e sociale.