L’arrivo del Covid-19 e delle conseguenti restrizioni, che hanno causato un calo nella socializzazione, ha avuto un forte impatto sulla popolazione; in particolare, su quella più giovane, che più di tutti ha sofferto una situazione di disagio, che ha segnato l’incremento del consumo di stupefacenti.
Le droghe, infatti, non sono più viste dai giovani come uno strumento di trasgressione, piuttosto come un mezzo per mitigare lo stress. A questo aumento dell’utilizzo di sostanze si è sommata una situazione di difficoltà per le comunità di assistenza per i tossicodipendenti, che essendo spesso ONG finanziate localmente, faticano a sopravvivere e a procurarsi risorse necessarie per continuare a garantire l’opera di assistenza. Fortunatamente questa situazione è stata mitigata dalle strutture di più grandi dimensioni che, basandosi quasi esclusivamente su risorse stanziate dalla Regione o dallo Stato, non hanno sofferto di particolari disagi da questo punto di vista.
Un altro problema che tuttavia ha colpito l’intero sistema è stato quello dei nuovi ingressi: infatti, con le restrizioni provocate dalla pandemia si è complicato l’inserimento di soggetti esterni alle comunità, soggetti che avrebbero bisogno di aiuto per la loro condizione, resa davvero dura dai periodi di quarantena dove, a causa della difficoltà del reperimento della dose, hanno vissuto spesso un’astinenza forzata.
Infine, da non dimenticare un altro ostacolo per i centri di recupero: quello del reinserimento nella società dei ragazzi assistiti, al termine del loro percorso di riabilitazione. Quando un ragazzo è in procinto di terminare il percorso in comunità, programmato in circa 18 mesi, viene individuata con lui un’attività socializzante, come sport o attività culturali. Una soluzione difficile da trovare di questi tempi, tempi di crisi economica ed emergenza sanitaria.