Il Sud della Giordania, stretto tra 3 confini, rischia di staccarsi da un Paese in crisi economica e soggetto a tre sfere d’influenza: palestinese, transgiordana e beduino-araba. La deriva dell’area verso l’influenza saudita passa sotto silenzio, sormontata dal nodo West Bank e, a Nord, da quello siriano. Ma cosa accadrebbe se il neoeletto governo israeliano decidesse di annettere parte della Cisgiordania?
Dal retrovisore penzola la mano di Hasm, ad ogni curva asseconda il rollio dell’auto. Il dondolio è irregolare, svaria in forme ellittiche, larghe, quasi per contenere le svariate versioni del suo significato: portafortuna, segno di forza o, con quella pietra blu incastonata, sguardo protettivo di un qualche dio. Sullo sfondo al-Aqaba, affacciata su uno spicchio di mar Rosso, stretto tra sponde che man mano lo assottigliano, fino a farlo svanire. Angoli e incroci si smussano, e quando la strada si fa rettilineo ecco il deserto: un deserto che scivola verso La Mecca, anche se ancora in pieno territorio giordano. Sorvolarlo è coglierne la pienezza.
Rocce e sabbia sono gli abiti di Wadi Rum, area
nota turisticamente, ma ancora ignota se percorsa in direzione della penisola
arabica tramite due attraversamenti frontalieri: quello di Durra e, a Sud-Est,
di Halat Ammar.
Pur essendo nel regno hashemita, qui la realtà
evidenzia la supremazia della cultura beduino-saudita; uno stato di fatto innegabile
e – ascoltando diverse voci di chi vi abita – sempre più preponderante. Del
resto, già
ad al-Aqaba, unico sbocco portuale giordano sito in
cima ad uno dei due corni divisi dalla penisola del Sinai nel mar Rosso,
significa constatare che in un fazzoletto di terra di appena 30kmq –
comparabile all’estensione di comuni come Ivrea o Avellino – convergono ben 4
confini nazionali; stretti in un budello, qui si accostano gli stati di
Giordania, Israele, Egitto e Arabia Saudita. Ciò significa che, mentre si
procede verso Sud-Sud Est, si lasciano alle spalle minuscoli segmenti di km che
collegano città tra loro straniere: 15km tra al-Aqaba giordana ed Elat
israeliana, 11 tra questa e Taba egiziana, 35 di litoranea tra al-Aqaba e Haql
saudita. Basta però allontanarsi un centinaio di km da questo incrocio per
scoprire l’esiguità dei villaggi, cellule ora stanziali che ancora rivelano le origini
irregolari di accampamenti beduini.
Così, forse per il peso del Jebal Umm al-Dāmī, che
con i suoi 1800 metri primeggia tra le cime giordane a due passi dalla frontiera
araba, forse per l’asfalto che via via si fa terra battuta, l’addentrarsi nella
polvere delle piste sembra scoscendere verso l’imbuto saudita.
Un’attrazione, quella di er-Riyāḍ, esercitata ben
oltre i propri confini, nella consapevolezza di quanto la monarchia
parlamentare hashemita sia sempre più strozzata da un deficit economico che gravita
intorno al -11%. Del resto, uno stipendio medio giordano tocca quota 400€,
mentre il dio petrolio sembra non portare fortuna: è esclusivamente d’importazione,
e il costo/litro del carburante è quasi equivalente a quello italiano.
A ciò si aggiunga assenza produttiva di larghi beni
di consumo e import massivo, dal food alle merci industriali. Turismo e servizi
annessi costituiscono il solo binomio che porta utili, generando però – proprio
in questa parte di Paese – un dualismo affaristico tra transgiordani e beduini;
avendo a che fare col deserto, questi ultimi appaiono però egemoni. Da più di
30 anni tribù beduine che vantano origini “Salman” si sono insediate nel Sud
della Giordania, trasformando la ormai residuale attività di pastorizia in
accoglienza turistica e gestione di siti desertici. Palestinesi e
transgiordani, che rappresentano la maggioranza nel regno hashemita, mal
sopportano questa concorrenza e, non di rado, criticano l’impotenza
dell’Amministrazione che non sembra adoperarsi per far rispettare le leggi. Nei
compound del business beduino vigono infatti codici non scritti: da pick-up che
viaggiano tranquillamente senza targa alla reticenza della polizia giordana, che
evita di entrare anche solo per dirimere semplici controversie.
Certo, inezie se confrontate al crinale di
incognite su cui vive la Giordania odierna: tra l’eventualità di Gerusalemme come
prossima capitale israeliana sul confine West Bank alla costituzione dello
stato palestinese e conseguente trasformazione del regno hashemita in
confederazione, progetto gradito all’amministrazione Usa e saudita. Nulla di
strano, dunque, che quest’ultima lavori per rafforzare l’egemonia
islamico-culturale proprio nel Sud del Paese: innanzitutto, per accaparrarsi
l’opportunità turistica di questo lembo di deserto, quindi per contrapporre la
predetta egemonia all’eventualità che Israele annetta parte della Cisgiordania.
In entrambi i casi, i transgiordani si troverebbero in una morsa: da una parte,
ulteriori 5ml di palestinesi che spingeranno per essere naturalizzati,
dall’altra tribù beduino-arabe padrone dell’unica fonte di sostentamento. Un
orizzonte cupo, tra sabbia e rocce.