Fino a qualche anno fa, per esempio, il curriculum vitae era di fatto l’unico strumento in mano ai selezionatori per avere una descrizione preliminare delle competenze di un candidato, laddove oggi social network come LinkedIn offrono un’interessante fonte di informazioni.
E ancora, i colloqui da remoto tra candidato e selezionatore erano una rarità, mentre oggi, e soprattutto dallo scoppio della pandemia in poi, sono diventati la prassi.
Pian piano – ed è bene annotarselo – sta cambiando anche il modo con cui i selezionatori analizzano i curricula, con un’attenzione inferiore agli anni di esperienza del candidato di fronte a un’attenzione superiore dedicata alle capacità e alle skills.
Questo, ci spiega Carola Adami, co-fondatrice della società italiana di head hunting Adami & Associati, è una delle conseguenze dell’allungarsi delle carriere professionali nelle nuove generazioni:
«Chi è entrato nel mondo del lavoro in questi anni ha davanti a sé un lunghissimo periodo di lavoro, decisamente più ampio ed esteso rispetto a quello che hanno conosciuto i rispettivi genitori e nonni» spiega l’head hunter, specificando che «il fatto di posticipare sempre più in avanti l’età pensionabile ha anche altri effetti importanti sui meccanismi di selezione».
Si pensi per esempio ai buchi di carriera. «Un career coach, fino a qualche tempo fa, avrebbe consigliato a qualsiasi professionista di ridurre al minimo le pause di carriera, ovvero i mesi “vuoti” tra un’occupazione e l’altra» sottolinea Carola Adami, specificando che «ogni buco nel curriculum vitae poteva infatti essere visto come una mancanza da parte del candidato alla ricerca di un nuovo lavoro».
Oggi le cose iniziano invece a essere differenti: «Di fronte a una carriera lavorativa della durata di 40 o 50 anni è più che normale, se non perfino talvolta consigliabile, ritagliarsi delle pause di qualche settimana, o anche di alcuni mesi. E queste pause non devono più essere nascoste nei curriculum vitae: l’importante è piuttosto essere in grado di spiegare al selezionatore cosa è stato fatto durante quel periodo tra un lavoro e l’altro».
Se dunque l’attitudine è quella di far passare in secondo piano le pause di carriera, preoccupandosi di non mostrare lacune, con la situazione lavorativa odierna si potrebbe al contrario guadagnare punti sugli altri candidati proprio a causa di una o più pause di carriera particolarmente significative.
«In un mondo professionale in cui è normale lavorare a lungo e cambiare un numero importante di aziende nel corso della carriera» precisa Adami «può essere premiante ritagliarsi delle pause per dedicarsi alle proprie passioni, per ripensare i propri obiettivi, per fare del volontariato, per viaggiare, per seguire dei corsi, per dare vita a un progetto che poco o nulla ha a che fare con la propria carriera, e via dicendo. Il nostro consiglio non è quello di nascondere queste pause, ma anzi di metterle in evidenza, spiegando come questi “buchi” hanno permesso di accrescere le proprie competenze, di avere nuove informazioni, di sperimentare una nuova prospettiva».