Il limite nasce quando muore la volontà.
Questa concezione, che anticamente avrebbe costituito un atto di hybrisverso la divinità, è riuscita a travalicare epoche e religioni, per diventare atto di consapevolezza; il compito ultimo, secondo Cartesio, del divenire per l’uomo moderno.
Anche il rapporto tra arte e limite è stato ampiamente analizzato, oltrepassando il quadro più strettamente metafisico sulla stessa natura dell’opera d’arte. Prendendo spunto da un passo dalla Critica del Giudizio di Kant, sulla bellezza della natura a partire dalla limitazione dell’oggetto, è la natura stessa dell’arte, in quanto linguaggio infinito, a determinare l’ampiezza della sua “straordinaria contraddizione”.
Molti sono i casi in cui l’arte riesce a superare i limiti della casualità umana e fisica, ma una in particolare dimostra come il limite possa arrivare a costituire l’essenza stessa dell’opera d’arte; è la storia del pianista Paul Wittgensein.
Figlio di un industriale e fratello maggiore di Ludwig, uno dei più importanti filosofi del linguaggio del XX secolo, Paul sviluppò l’amore per la musica nell’ambiente viennese del suo tempo; un paradiso impressionista il cui tempo è scandito dalle note di Brahms, Mahler e Richard Strauss.
La formazione con Malvine Bree e il grande virtuoso polacco Teodor Leszetycki porta il giovane Paul alla ribalta nel 1913, durante il quale riesce a mettere in scena una grande abilità strumentale e una straordinaria fantasia interpretativa.
Purtroppo però la prima guerra mondiale è alle porte e nel 1914 colpirà anche lui, portandosi via anche il suo braccio destro, nelle vicinanze della cittadina di Zamość, nella Polonia sudorientale.
Togliere un braccio a un pianista è come asportare una parte di anima, anche perché, come disse il filosofo Merleau-Ponty: “Avere un braccio fantasma vuol dire lasciare spazio alle azioni di cui solo il braccio è capace”. Eppure sarà proprio quel dramma a rafforzare la volontà di Paul Wittgenstein: egli prende dimostra di non aver fatto il pianista, ma di essere un pianista; dunque avrebbe continuato a solleticare tasti d’avorio anche con un braccio solo.
La vera sfida di Paul non è quella con il fantasma della mano destra, ma con la sua libertà; quella di poter scegliere cosa suonare e come esprimere al meglio la propria arte. Mettere in risalto l’estetica della menomazionegrazie a una serie di composizioni commissionate ai più grandi compositori dell’epoca, permise a Paul di misurare nuove e rinnovate peculiarità stilistiche.
Nascono circa quaranta concerti per mano sinistra i quali dettano una sorta di nuovo linguaggio pianistico e orchestrale fino allora sconosciuto. L’opera più importante nasce dalla penna espressionista di Maurice Ravel ed è il Concerto per la mano sinistra, scritto proprio su commissione di Paul Wittgenstein.
La sinergia fra i due artisti sigilla un rapporto nuovo tra arte e limite poiché costringe il musicista a misurarsi con la sua volontà, ma anche il compositore a confrontarsi con i propri pregiudizi (buoni o cattivi che siano), così da individuare una nuova chiave di lettura per la creazione e l’interpretazione artistica.
La passionalità armonica e corale di Ravel si confronta direttamente con la sensibilità e l’irriverenza poetica di Wittgenstein, la cui unica richiesta ai committenti era di non mascherare le difficoltà tecniche, ma anzi enfatizzare provocatoriamente le potenzialità tecniche ed espressive di ogni singola mano.
La potenza e l’ariosità dell’opera di Ravel sono il frutto di una serie di condizioni strutturali che avevano come punto di riferimento una limitazione imposta; quella di Wittgenstein che diventa un’abilità in grado di rendere “inabile” persino il compositore. Se da un lato Ravel fu vincolato ai limiti dell’esecutore, dall’altro l’autore fu “costretto” a reinventare nuovi modi ed esplorare nuovi territori compositivi, facendo dell’incompiutezza fisica, un modello di sviluppo della consapevolezza umana.