Nelle cucine del mondo occidentale, si
concentra la più ampia fetta di alimenti che finiscono direttamente dal
carrello alla spazzatura. Questa tendenza è figlia di una società del
benessere, dove una corretta alimentazione e la conseguente ottimizzazione del
cibo viene spesso snobbata. Tuttavia, lo
spreco alimentare colpisce su più fronti la catena agroalimentare: dagli sprechi
dei produttori agli sprechi inquinanti del packaging, dalla mancata tradizione
culinaria del riuso all’erronea modalità di acquisto del singolo cittadino.
Lo spreco mondiale annuo è di 1,3 miliardi di tonnellate, mentre quasi un miliardo di persone non ha cibo a sufficienza per sopravvivere. In Europa si sprecano in media 180 kg di cibo pro-capite all’anno, l’Italia conta una media di 150 kg annui pro-capite. I prodotti maggiormente cestinati sono ortaggi e frutta al primo posto, seguono pane, pasta, latticini e carni.
Il 2018 ha mostrato però un cambio di rotta
per tale tendenza: 8 italiani su 10 sentendosi in colpa per il cibo sperperato,
sta attuando un nuovo stile di vita. Gli accorgimenti sono pochi e semplici,
sufficienti però a creare il miglioramento:
– spese più piccole, comprando il necessario
per 2/3 giorni;
– prediligere prodotti stagionali
possibilmente a km0;
– imparare l’arte della cucina del recupero;
– saper organizzare adeguatamente il cibo,
per ottenere una conservazione più duratura;
– richiedere la doggy bag o la family bag
al ristorante;
– prestare attenzione alla data di scadenza e al packaging (ricordare la differenza sostanziale tra “consumarsi entro” e “consumarsi preferibilmente entro”)
Si ricordi inoltre che il cibo sprecato oltre che essere una perdita economica per il singolo, è dannosa per l’ambiente: dallo sfruttamento delle terre coltivate all’inquinamento delle fabbriche multinazionali di agroalimenti, passando per l’eccessivo utilizzo di plastiche per il confezionamento del cibo.