L’iniziativa militare turca, avviata lo scorso 9 ottobre nella parte nordorientale del paese di Bashar al – Assad contro i curdi grazie al ritiro di uomini e mezzi americani, è forse ad un punto di svolta. La Casa Bianca ha convinto infatti Ankara a fermare le operazioni belliche per consentire il ritiro dell’etnia tanto odiata in zone, situate oltre i 32 chilometri dal confine con la nazione della Mezzaluna, consentendo agli uomini di Tayyp Erdogan di prendere il controllo dell’area. L’obiettivo è di annientare quelle che, a parere del leader alleato di Washington, sono state definite “minacce alla propria sicurezza nazionale”.
Il vero vincitore. Tutti si augurano che l’attuale sospensione delle ostilità si trasformi presto in un cessate il fuoco permanente e che sia evitata, così in modo definitivo, una nuova emergenza umanitaria che sta già coinvolgendo almeno 200.000 persone. La ripresa eventuale di un conflitto incrementerebbe il loro numero e sarebbe la fonte di ulteriori fattori di destabilizzazione regionale. La presenza di soldati russi, a fianco a quelli di Damasco, ha fermato la caduta degli ordigni del Sultano, limitando le sue mire espansionistiche. Ha consentito inoltre a Vladimir Putin di essere il principale vincitore, della partita geopolitica, grazie agli ottimi rapporti maturati nel tempo che hanno portato alla vendita di missili S400, al membro della Nato, nonostante le forti critiche del Pentagono e del Patto Atlantico.
Gli sconfitti. La crisi in corso ha mostrato l’evidente incapacità del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite di fronteggiare, a causa del potere di veto dei suoi 5 membri permanenti, una situazione ritenuta come pericolosa a livello mondiale. Anche l’Unione Europea non è riuscita a convergere, all’unanimità, su un ipotetico embargo di armi e sanzioni economiche, approvate invece dagli Usa, verso Ankara dando così, come sempre, il peggio di sé.