La strage di Piazza Fontana, un ordigno esploso nel salone centrale della Banca Nazionale dell’Agricoltura di Milano nel Dicembre 1969, sigla il primo atto della “strategia della tensione“: azioni terroristiche finalizzate a creare instabilità nel Paese colpendo al cuore dello Stato, minando le sue istituzioni democratiche, favorendo ed intensificando tentativi eversivi della Destra neofascista e dei servizi segreti deviati.
Dopo Piazza Fontana altre stragi macchiarono di sangue l’Italia: Piazza della Loggia a Brescia (1974), l’esplosione sul treno Italicus (1974), l’assassinio di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse (1978), l’assassinio del sindacalista Guido Rossa (1979), l’assassinio del giudice Emilio Alessandrini da parte di Prima Linea (1979), l’assassinio del giornalista Walter Tobagi da parte della Brigata 28 Marzo (1980) e la strage alla stazione di Bologna (1980): un disegno di destabilizzazione senza precedenti diretto verso un’involuzione autoritaria del regime politico. Il terrorismo e le stragi sono strategie politiche.
Questi oscuri accadimenti firmati anni settanta, gli “anni di piombo”, si sono sovraccaricati di ulteriori sospetti: in particolare, due ‘piste’ fecero subito pensare a degli intrecci tra le stragi, il mondo politico e gli apparati di intelligence. Da un lato il ritrovamento di documenti dei servizi segreti britannici che delineavano un progetto volto a sovvertire l’area mediterranea per estendere il modello dittatoriale dei Colonnelli, instauratosi in Grecia nel 1967, e far diventare l’Italia perno centrale grazie alla sua posizione strategica; dall’altra la scoperta nel 1990 dell’organizzazione paramilitare clandestina Gladio collegata alla NATO e operante in Italia con il fine di contrastare la crescita della Sinistra. In Italia c’era il Partito Comunista più grande dell’Occidente e per gli Stati Uniti era un serio problema. In questo clima di “autunno caldo” e di Guerra Fredda si inserisce la strage di Piazza Fontana, una triste ed indelebile pagina della Storia della nostra Repubblica.
Venerdì, 12 Dicembre 1969. Mancano tredici giorni a Natale e nelle città c’è aria di festa, ma improvvisamente tutto si annebbia. Cinque attentati terroristici concentrati in un lasso di tempo di 53 minuti colpiscono rispettivamente Roma e Milano. Ma alle 16.37 Milano trema forte. Nella sede centrale della Banca Nazionale dell’Agricoltura in un palazzo di tre piani che si affaccia su Piazza Fontana e via dell’Arcivescovado è strage. Un ordigno custodito in una borsa esplode: 17 morti e 88 feriti. Milano si paralizza.
La macchina investigativa puntò dritto agli ambienti anarchici, ma le lunghe e innumerevoli indagini hanno rilevato che la strage fu compiuta da terroristi di estrema destra, collegati con apparati statali e sovranazionali. Le indagini si sono svolte con imputazioni a carico di vari esponenti anarchici e neofascisti, ma gli accusati sono stati sempre assolti in sede giudiziaria. L’ultimo processo, nel maggio 2005, la Cassazione addebitò definitivamente l’eccidio a Ordine Nuovo, gruppo politico di estrema Destra, nelle persone di Franco Freda e Giovanni Ventura: peccato che a quel punto non fossero più processabili, in quanto già assolti con sentenza definitiva nel 1985. L’iter investigativo e giudiziario frutto di cinque istruttorie, tre processi e dieci gradi di giudizio non ha portato a condanne. Nessuno ha pagato.
Finisce così una brutta e triste pagina di storia giudiziaria scritta di pugno italiano.