“I am the eggman, they are the eggmen, I am the walrus Goo goo, g’joob”.
Nell’esegesi semiotica di alcuni celebri successi dei Beatles è possibile individuare il filo di Arianna tra la rivoluzione sociale degli anni ’60 e la necessità di liberazione interiore che ognuno dei fab four cominciava a manifestare più assiduamente. Poi vi sono opere per le quali la semantica non riesce a spiegarne il linguaggio; figurarsi il significato. I am the walrus si colloca un piano sopra qualsiasi tentativo di decodificare linguaggio, senso e percezione. Eppure anche in quel testo incomprensibile, che trasmette uno dei brani più sperimentali e innovativi di John Lennon vi è un continuo gioco di indizi esoterici, tanto amato dai quattro; dalla presunta morte di Paul Mc McCartney ai messaggi satanici.
Parlare di I am the walrus, a distanza di 53 anni dalla sua nascita, è importante per comprendere la complessità di John Lennon, quando tutti “celebrano” (per dire) i 40 anni dalla morte, sarebbe opportuno analizzare uno spirito creativo trasversale e profondo e del quale la canzone del tricheco rappresenta un punto fondamentale nella musica contemporanea.
La prima incisione del brano risale all’agosto 1967, poco dopo la morte dello storico manager Brian Epstein; il quinto beatle e questo influì molto sulla drammaticità del linguaggio narrativo e musicale del brano.
I primi sedici nastri di I Am the Walrus furono incisi il 5 settembre 1967 e comprendevano la base ritmica su supporto di un mellotron. In seguito si passò alle sovra-incisioni della voce di Lennon, oltre quelle di basso e batteria e infine l’accompagnamento orchestrale che include violini, violoncelli, corni, clarinetto e un coro di 16 voci, grazie agli arrangiamenti di George Martin, il quale seguì le disposizioni dello stesso Lennon su come sentire l’orchestra.
Alla struttura armonica e orchestrale si aggiunge un saldo impianto effettistico, determinato dagli esperimenti in studio: dai nastri magnetici al contrario ai versi stravolti e rallentati, su nastro, degli “Ho-ho-ho, hee-hee-hee, ha-ha-ha”, “oompah, oompah, stick it up your jumper!”,
dei Mike Sammes Singers, e perfino l’introduzione di un estratto di una trasmissione radio della BBC inerente all’Atto VI del Re Lear di William Shakespeare. Frammenti di registrazioni e sovrapposizioni su un tema già compiuto; la rivoluzione sperimentale dei Beatles raggiungeva qui il punto massimo, fino alla saturazione da musique concrete di Revolution 9, ma forse nessun altro musicista pop-rock è riuscito a ottenere un risultato così spregiudicato e provocatorio.
La genesi del testo è individuabile in tre bozze alle quali John Lennon stava lavorando: la prima era stata ispirata dal suono di una sirena della polizia e anche in questo caso il genio Lennon entra in scena con particolari insignificanti che fanno la differenza; infatti egli non fa altro che seguire il ritmo e la melodia della sirena, convertendo il suono in “Mis-ter cit-y police-man”.
La seconda idea nacque da una breve strofa tirata su mentre stava seduto nel giardino di casa sua, mentre nella terza idea vede John seduto su un corn flake.
Poiché non era possibile mettere insieme le tre idee egli le unì insieme per creare un unico brano, traendo ispirazione da un poemetto di Lewis Carroll dal titolo “ The Walrus and the Carpenter” (Il tricheco e il falegname) contenuto nel celebre romanzo “Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò”.
Anche l’esperienza lisergica con l’LSD gioca la sua parte, ma il genio lennoniano ritorna preponderante anche sull’idioma della contro-cultura, giocando sulla provocazione intellettuale e non sullo shock emotivo.
A John arrivò la notizia che la Quarry Bank High School di Liverpool, la scuola che frequentava da ragazzo, stava studiando i testi dei Beatles. Appena saputo ciò Lennon si adoperò per legare suggestioni e parole in un ossessivo nonsense linguistico e testuale, sfidandoli a trovare un significato comprensibile.
E così troviamo l’espressione semolina pilchard che è invece una sorta di metonimia, in seguito alla sostituzione dell’ispettore sergente Norman Pilcher, responsabile del recente arresto di alcuni membri dei Rolling Stones, o il verso: “Elementary penguins singing Hare Krishna” dove si prende in giro l’infatuazione del poeta Allen Ginsberg per le religioni orientali.
A parte questo l’intero brano si presta a una molteplicità di livelli di lettura nella quale affiorano questo ricordi d’infanzia, ispirazioni casuali e anche una velata critica sociale all’establishment britannico dell’epoca. Vi è una fortissima condanna alla morale e al sistema scolastico che soffoca negli scolari ogni barlume di originalità, che reprime l’arte e la cultura. John Lennon anticipa molti delle tematiche di The Wall, ma lo fa con una vena di sarcastica colpevolizzazione e pungente ironia, portando un brano sperimentale a raggiungere le vette delle classifiche mondiali.
I Am the Walrus è stata spesso interpretata in modi differenti dal pubblico, ma è difficile trovare una concordanza precisa sulle intenzioni e in questo quadro rientra anche la strategia simbolica tanto gradita ai Beatles.
In Glass Onion, dal White Album del 1968, Lennon lascia un altro indizio con la frase: “Il tricheco era Paul”. Egli si riferiva alla copertina di Magical Mistery Tour, dove i quattro sono travestiti da animali e non è stato mai appurato se il tricheco fosse John o Paul McCartney
Solo nel 1980, in un’intervista rilasciata a Playboy, John cercò di far luce sul verso:
“Scrissi la strofa the Walrus was Paul, solo per confondere ancora un po’ di più le idee a tutti. Adesso penso che io sia diventato il Tricheco, intendo dire che ora sono io quello”.
Comunque sia resta la realtà nella leggenda di un brano leggendario, fra i capolavori di John Lennon, che forse oggi non troverebbe spazio fra le playlist di Spotify e che nel ’67 riuscì a dettare le regole verso un modo nuovo di fare rock; ma si sa che la musica non è per tutti.