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Terzo settore

INTEGRAZIONE A DUE VIE: QUANDO L’ACCOGLIENZA FUNZIONA

I minori stranieri non accompagnati sono quei ragazzi che, da minorenni, decidono di lasciare la propria terra, la propria casa e la propria famiglia, alla ricerca di condizioni di vita migliori, e di un lavoro che permetta loro di mantenersi, ma anche di prendersi economicamente cura di chi resta a casa.

In realtà possono essere moltissimi i motivi per cui questi ragazzi si lasciano dietro il loro mondo. Guerra, persecuzione, ricerca di lavoro e così via. E così come tante sono le cause, diverse sono anche le esperienze vissute durante il viaggio migratorio. In generale, che sia per mare o via terra, l’iter che conduce questi ragazzi alla loro meta è sempre ricco di difficoltà, pericoli e traumi.

Il rischio di essere feriti o di morire addirittura è molto elevato.

Nell’esperienza con minori stranieri, capita spesso di trovarsi di fronte ragazzi che sono partiti contro il volere dei propri genitori, che hanno dovuto mettersi nelle mani di criminali e accumulare grossi debiti.

Ciò che questi ragazzi trovano al loro arrivo in Italia è una realtà completamente differente, con delle regole e degli usi di cui erano completamente all’oscuro. Perché in diverse parti del mondo, la vita e ogni aspetto di essa, si muove con ritmi diversi, e una stessa azione può avere valenze e conseguenze diverse. Trovarsi in tanti Paesi così diversi necessita di un tempo di adattamento più o meno lungo, in base alle capacità o alla flessibilità del ragazzo e soprattutto al tipo di accoglienza che riceve.

(da: pixabay.com)

Anche in questo bisogna essere molto fortunati. È nella relazione che si attua e si costruisce insieme il futuro di ogni ragazzo; la relazione con gli operatori dei progetti di accoglienza e tutti gli attori che intervengono nel sistema.

È facile che i ruoli si mescolino, che la relazione travalichi il lavoro da operatore, trasformandosi in consapevolezza; la consapevolezza di essere l’unica possibilità di una vera famiglia in un posto così lontano da casa per dei ragazzi che a dispetto delle tante, terribili esperienze vissute, probabilmente non hanno ancora 16 anni.

Seguire un ragazzo nel percorso di cambiamento e adattamento ad una nuova cultura è un arricchimento anche per chi lo guida, perché il contagio di idee e insegnamenti che avviene da entrambe le parti è prezioso e nutre l’esperienza di tutti.

L’accoglienza non ha mai una fine. Anche al compimento della maggiore età e l’abbandono dei progetti d’accoglienza, in molti casi la relazione, quella umana, resta viva.

Così come permane la necessità di un’accoglienza più ampia e duratura, fondamentale per ogni immigrato, minore o adulto che sia, che permetta che quel contagio di idee e quella umanità restino sempre accesi.

(da: pixabay.com)

Capita a volte di salutare un ragazzo che diventa maggiorenne, ma di continuare a gioire con lui/lei per ogni obiettivo raggiunto, dalla ricerca e l’ottenimento di un lavoro, alla prima casa in affitto, all’iter burocratico, che gli permette di ottenere i documenti necessari per poter restare in Italia e lavorare.

Ciò che però non va dimenticato, e che questi ragazzi non dimenticano, è che in un Paese lontano, quello che hanno lasciato anni prima, ci sono delle famiglie, quelle vere, che sognano di poter riabbracciare i propri figli; un sogno condiviso.

Quando l’accoglienza funziona e tutti i tasselli trovano la propria collocazione, può capitare che ciò accada, come a Mohamed, che ha avuto accoglienza, affetto, sostegno e i documenti per poter lavorare e prendere un aereo per l’Egitto, per riabbracciare i suoi cari, respirare l’aria di casa e riviverne la cultura, libero poi di tornare in Italia con un viaggio decisamente diverso dal primo, riaccolto dal suo secondo Paese.

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