Per la prima volta le donne partecipano da protagoniste ad un momento decisivo della storia italiana. Si tratta di un evento senza precedenti: la partecipazione femminile non si configura più come espressione di una élite intellettuale e culturale come si era verificato durante il Risorgimento, ma si tratta di un fatto diffuso.
Le donne, infatti, svolgono un ruolo di organizzazione e di supporto all’azione delle brigate partigiane. Sono loro che raccolgono gli alimenti, le munizioni, le informazioni, svolgono un’essenziale funzione di collegamento tra le brigate partigiane in città e quelle organizzate in montagna e in campagna. Essenziale è stato, poi, il loro compito di collegamento: le “messaggere”, cioè le temerarie che superavano le linee tedesche per portare i messaggi da una parte all’altra dei fronti di combattimento. Un’altra importante iniziativa prevalentemente gestita da donne fu il “Soccorso rosso”, una specie di organizzazione di mutua assistenza con la funzione di reperire viveri o denaro per le famiglie dei militanti in difficoltà.
Si tratta di un ruolo che non è stato adeguatamente riconosciuto: esse non ricoprirono, esclusi alcuni casi straordinari, la funzione tradizionale di combattenti. Probabilmente fu questo il motivo per cui non si colse fino in fondo la grande trasformazione che stava vivendo l’Italia grazie all’ingresso delle donne nella vita pubblica. Fu a partire da questo momento che in Italia ebbe avvio una vera e propria “rivoluzione sociale” quale conseguenza del ruolo di protagoniste che le donne assunsero, esse vennero infatti riconosciute come cittadine, figure portatrici di diritti civili e politici. Prese così avvio un percorso di rivendicazione di nuovi diritti, di spazi nella vita pubblica e sociale del Paese, un nuovo ruolo nella vita pubblica e lavorativa.
Le varie fasi del cambiamento
E’ importante non dimenticare come la dittatura prima e la guerra poi abbiano contribuito a creare un punto di rottura nella tradizione della gestione familiare, In particolare gli eventi bellici avevano capovolto alcuni tradizionali equilibri familiari e sociali. Con l’avvento del fascismo ogni aspetto della vita venne subordinato allo Stato: il diritto di famiglia, basato sul codice del 1865, si fondava sulla supremazia maschile e negava l’autonomia della donna, che doveva sempre avere “un’autorizzazione del marito” e le era proibito prendere iniziative. Con la soppressione dei partiti politici e dell’associazionismo vennero represse tutte le forme di attivismo femminile; era il 1926 e le uniche organizzazioni riconosciute erano i movimenti femminili fascista e cattolico. Eppure, paradossalmente, fu proprio con la guerra che le donne conobbero una nuova libertà. La “scomparsa” dai paesi e dalle città della popolazione maschile giovane, in forza ed in età da lavoro, mandata al fronte a combattere contro gli Alleati, costrinse, in parte, le donne ad assumere un ruolo sociale nuovo e a ricoprire la funzione inedita di “capofamiglia”, spesso costringendole a provvederne al mantenimento. Sovente, proprio tra le pareti domestiche le donne organizzarono dei veri e propri laboratori in cui preparavano gli indumenti per i partigiani, raccoglievano e ridistribuivano gli alimenti ai partigiani e alle loro famiglie.
In breve tempo si svilupparono gruppi molto attivi di donne combattenti, nei cui nuclei si unirono donne di ogni ceto sociale e credo politico, che portarono ben presto alla nascita di Gruppi Operativi, i quali svolsero una lotta senza tregua per la conquista dei diritti politici e civili per le donne.
Proprio in ragione di ciò si può sostenere che, a partire dalla lotta di Resistenza e dalla Costituzione del 1948 le donne si trasformano in soggetti visibili acquisendo un ruolo autonomo nella società.