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Antropologia

IL PIANTO LIBERATORIO

Stretti i denti, muscolatura contratta, hai vissuto così l’ultimo anno e mezzo, una situazione imprevedibile, sembrava temporanea, una piccola parentesi nell’oceano della normalità e invece no, come la tela di un ragno costruita con sagacia e precisione, non finiva mai come quel rotolo di carta igienica che ti propinavano in televisione.

Gli occhi hanno guardato poco. Si sono fermati a fissare i muri di casa, le immagini del telegiornale, i numeri impietosi, hanno scoperto diverse angolazioni, si sono focalizzati su ciò che potevano, hanno “sfruttato” il passaggio, l’attimo, hanno evitato che il dolore si sedimentasse togliendo colore e vivacità.

Poi c’è la mente, il cuore e la loro costante partita a dadi, troppe altalene negli ultimi tempi, dalla depressione all’euforia in un attimo, un respiro profondo per lasciare alle spalle un incubo o forse per incamerare quanta più aria possibile per paura di ricaderci.

E tu ti ritrovi ad essere più sensibile, a piangere davanti alla normalità, a ringraziare il cielo o il destino per qualcosa che hai sempre avuto al tuo fianco, piangi anche di fronte ad una birra con gli amici, al sorriso di un nipote con cui finalmente puoi stare accanto senza sentirti un untore.

Che società strana la nostra eh? Ci hanno inculcato il mito dell’uomo forte, che non deve chiedere mai, rigido, imperturbabile, anche un po’ stronzo che non guasta, ecco quello è l’uomo di successo, quello stesso uomo che ha mandato tutto al collasso senza farsi troppi problemi.

Uomini con la U maiuscola, che non possono lasciarsi andare alle emozioni e che se lo devono fare è bene che si nascondano, “se proprio vuoi piangere fallo nella tua cameretta, il mondo ti passa sopra, non puoi permetterti  di avere una coscienza”.

(da: pixabay.com)

Eppure la baracca va avanti col bene, col volontariato, con l’operatività che non trova declino, con l’armonia tra le teste e i cuori, con il gioco di squadra, con i sorrisi spontanei e la voglia di crescere insieme.

Provare emozioni significa mettersi in gioco, sentirsi vivi, capire il proprio posto in questa grande sfera chiamata Terra, questo incredibile tornado chiamato Covid non può non averci cambiato, come popolo, come società, come persone.

Forse una delle ultime chance per il genere umano, prendere la palla al balzo per resettare, rimodulare, per insegnare ai propri figli non ad essere il migliore in quel determinato sport ma ad essere Uomo, se stesso, senza compromessi, soffrendo, esultando, chiedendosi  il perché ma anche battendosi il petto per l’orgoglio.

Dire “piangi che sei più forte” o “piangi che sei più bello”, ribaltare la prospettiva, non vergogna ma punto di forza, perché di robot e automi non ce ne facciamo niente, mentre abbiamo un disperato bisogno di persone.

Allora lasciamoci andare ad un pianto liberatorio, ce lo meritiamo, tutti.

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