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Musica

Il mondo sommerso della musica, prima, durante e dopo il coronavirus

Parte I; l’intrattenimento musicale.

Siamo sicuri di voler tornare alla normalità? È stato mai affrontato il tema della normalità?

Sembra che quella che ormai è considerata la peggiore crisi mondiale dal dopoguerra in poi, si stia rivelando anche la più “democratica”, perché ha colpito indistintamente tutti.

La pandemia per il coronavirus ha messo in ginocchio un sistema sanitario ed economico a livello globale, trascinando l’intero pianeta a fare i conti con le proprie contraddizioni e vulnerabilità. Ma dal momento che anche gli altri settori della società vivono lo stesso dramma, si può dire che nessuno sia invulnerabile. La terra di mezzo dei diversi settori culturali per esempio può essere, per la prima volta equiparato a tutti gli altri, giacché penalizzato fortemente dalle perdite e dall’incertezza di non sapere quale sarà la strada della rinascita.  Esistono poi diversi macrocosmi che purtroppo sono abituati da qualche tempo a convivere con la crisi: uno di essi è l’intrattenimento musicale che comprende una multiforme stratificazione sociale, economica e politica. 

C’è la crisi del turismo che, con l’avvicinarsi della stagione estiva, cerca di reinventarsi per affrontare la cosiddetta fase 2; c’è la crisi di lunga data dei teatri che hanno messo molti operatori in cassa integrazione, mentre altri sono stati costretti a chiudere; c’è il settore della musica dal vivo, che è forse l’anello più debole di questa catena.

Eppure, tutti questi settori hanno bisogno di formazione, infrastrutture, materiali, tempo; dunque hanno speso e dovranno spendere.

Ma questo è uno dei tanti problemi, discussi e mai risolti del nostro paese.

Per quanto riguarda le attività Live, per esempio, il timore di centinaia di piccoli e grandi musicisti che quasi sicuramente non potranno tornare molto presto a salire sui palchi dovrà riguardare la tutela del lavoro.

Sono molti i musicisti che non sanno o non si preoccupano di imporre il rispetto e la tutela di quest’amata e martoriata passione/professione. Facendo così favoriscono inevitabilmente il lavoro “in nero”, favorendo uno dei tanti virus sottili della nostra società che è la sottovalutazione dei propri contributi, artistici e anche economici.

(da: pixabay.com)

A questo si aggiunge la complessità delle norme nel sistema previdenziale ex Enpals, oggi INPS Fondo Previdenza Lavoratori dello Spettacolo, che negli anni ha subito le numerose riforme sul lavoro pensate per altri comparti lavorativi e non rispondenti alle esigenze dello spettacolo, con conseguenti difficoltà d’interpretazione e perdita di fiducia nell’Ente.

Tutto questo ha origine ben prima della pandemia da Covid, e la sua complessità dipende da un altro virus silenzioso che è la troppa burocrazia. 

Da una Memoria predisposta dall’associazione nazionale SOS MUSICISTI per l’Indagine Conoscitiva su Lavoro e la Previdenza nello Spettacolo, iniziativa istituzionale presso le  Commissioni riunite di Cultura e Lavoro della Camera, si evince come l’ex Enpals era ed è un ente inutilmente complesso già nella sua struttura. 

Infatti L’Ente previdenziale degli artisti prevede TRE RAGGRUPPAMENTI di lavoratori di cui solo il primo, denominato raggruppamento A, corrispondente ai lavoratori pagati a prestazione risulta investito in pieno dal problema del Sommerso e dal caos interpretativo delle norme. Come dire che maestranze ed impiegati dei raggruppamenti B e C non hanno da tempo ragione di appesantire la burocrazia dell’ente.

“E’ comprensibile, riporta il documento di Sos Musicisti, che tale suddivisione (A, B e C) sia stata pensata nel ’47, quando l’ente fu istituito per la totalità dei lavoratori dello Spettacolo fino ad allora mancanti di una unica Cassa Previdenziale, ma quantomeno in epoche successive, e in particolare a partire dal 2012 (anno in cui l’Enpals è confluito nell’INPS), i soggetti rientranti nei raggruppamenti B e C (pagati a mensile, ma con “annualità” contributive non a 120 giornate, ma a 260 giornate il gruppo B e a 312 il gruppo C), ancorché artisti (è solo il caso degli orchestrali delle rare fondazioni) potevano essere tranquillamente ricondotti tra quelli ordinari dell’INPS senza recare alcun danno ai soggetti stessi. La burocrazia del FPLS ne risulterebbe decisamente snellita”.
Si pensi che la circolare 83/2016, l’ultima in ordine di tempo che tenta di illustrare come funziona l’ente di previdenza degli artisti è composta da 23 pagine e 15 di allegati. In Germania … un fronte/retro !

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