Erich Fromm nel suo libro “Avere o Essere”, pubblicato nel 1976, portava già avanti la tesi secondo la quale la personalità dell’uomo contemporaneo è investito da due modalità, quella dell’avere e quella dell’essere.
La prima tesi caratterizza la società consumistica, tesa al possesso e all’accumulazione individuale; mentre la seconda rispecchia coloro che cercano di arricchirsi interiormente, mirando ad un’armonia costante tra se stessi e la natura, ciò che ci sta intorno. È evidente che il suo pensiero è tutt’ora valido e viste le complesse conseguenze ambientali vissute in questi anni si nota come la modalità dell’avere abbia avuto cattive ripercussioni sulla vita di ognuno di noi, mettendo a rischio il pianeta stesso. È necessario essere educati all’ “Essere”, comprenderne le motivazioni, rivoluzionare la mentalità di una società malata che ci sta conducendo verso la distruzione. Il forte processo di industrializzazione calpesta la vita animale e vegetale e si ripercuote, nel suo tentativo estremo di omologazione mondiale, anche sulle tradizioni, personificate dagli indigeni e dalle loro pratiche artigiane. Per esempio, l’artigianato duodji della popolazione dei Sami in Lapponia, è realizzato con elementi naturali come nodi di betulla, corna e pellicce di animali ed esso è legato imprescindibilmente alla loro identità e quotidianità.
In Russia nascono “Gli amici del fiume Moscova” per riqualificarne la sua naturalità, dato che questo fiume è tuttora un vero esempio di dominio umano sulla natura. A questo proposito un designer ha disegnato una ipotetica teiera del futuro, datata 2093, leggermente inclinata, poiché i cambiamenti previsti provocheranno un ripiegamento degli edifici limitrofi. In triennale questo e molto altro sarà in mostra fino al 1 settembre 2019, grazie anche alle “Partecipazioni internazionali” di numerosi paesi.
Architetti, designer e artigiani di tutto il mondo sono al servizio di questa umanità decadente per dare una possibilità di rigenerazione e di conservazione naturale e culturale. Un risveglio, una prospettiva innovativa da osservare, ascoltare, toccare all’interno di “Broken Nature: design takes on human survival”. Questa dodicesima esposizione internazionale, curata da Paola Antonelli, Senior Curator del Dipartimento di Architettura e Design e Direttrice del Dipartimento Ricerca e Sviluppo del Museum of Modern art di New York, mira all’analisi di vari progetti per promuovere l’idea di un design, definito ricostituente.
Il design ricostituente in Broken Nature
Il filo rosso che lega l’uomo alla natura non può essere spezzato perché noi stessi siamo parte della natura; per questo quando il pianeta soffre anche noi subiamo l’eco del suo tormento. Con il design ricostituente si tenta per mezzo di strategie e produzioni di sensibilizzare all’esistenza di questo legame e al rispetto verso ciò che ci circonda, analizzando sia gli ecosistemi sociali che quelli naturali.
Lungo le stanze allestite in Triennale fino al 1 settembre 2019 potremo rapportarci ai progetti messi in atto da esperti in materia. Per esempio, considerando le complicazioni avvenute nelle centrali nucleari, ad esempio a Chernobyl nel 1986 o a Fukushima nel 2011, la scoperta fatta dagli scienziati biellorussi riguardo alla pianta di colza, in grado di assorbire le sostanze radioattive dal terreno, fu un passo decisivo per la designer Sputniko. Ne nacque il progetto “Nanohana Heels”, messo in atto con lo stilista Masaya Kushino: scarpe in pelle dai cui tacchi meccanici venga seminata la colza, denominata per l’appunto nanohana in giapponese, così che una semplice passeggiata con esse possa significare una cura effettiva per l’ambiente. Un altro progetto interessante è quello realizzato da Araki, chiamato “Anima”: una collezione di stoviglie nata dall’elaborazione di resti animali. Araki ha infatti messo da parte nel corso di due anni vari avanzi come gli scarti vegetali, i gusci d’uovo e le ossa. Dopo averli suddivisi in due gruppi, in vegetali e ossa/pelle di animale, ovvero da una parte quelli da bruciare e trasformare in carbone e dall’altra quelli da bollire tanto da produrre una sostanza gelatinosa, ne ha modellato con l’impasto gli oggetti visibili nella teca. Questo perché i rifiuti spesso finiscono nelle discariche e senza la presenza di ossigeno si decompongono in metano.
Nel padiglione “Armonia tra natura e uomo”, curato da Mauro Salvemini, spicca la scultura di Lorenzo Bar e Stefano Polo: è stata costruita con il bambù, «In omaggio al paesaggio e all’elemento naturale del Sud Est asiatico” – scrive Miriam Bertolini – si origina dal tronco di un pluriennale albero tagliato dal distruttivo intervento umano che ha inferto alla natura una ferita grave che non permette all’albero di rigenerarsi. Questo nuovo albero dispiega i suoi rami oscillanti alla vita invitando con il suono delle campanelle l’uomo ad armonizzarsi con la natura. Lo spazio fisico e sonoro creato dai rami dell’albero accoglie il visitatore.»