Don Roberto Malgesini ci ha lasciato, un uomo buono, l’immagine della Chiesa a servizio della gente, del volontariato più nobile. Ucciso sulla strada dove elargiva amore agli ultimi, tutti, nessuno escluso. Ucciso da uno squilibrato, un emarginato che aveva aiutato tante volte, nelle vie della città di Como.
Devo essere sincero, vivendo in un altro territorio non conoscevo la sua storia ma la notizia mi ha colpito come se don Roberto fosse uno di famiglia. Avete presente quando a pelle una persona ti prende e inizialmente non ne sai esattamente il motivo, poi pensi e ripensi, ti soffermi su un’immagine o una foto e i pezzi del puzzle cominciano a collocarsi, con precisione chirurgica, al proprio posto?
I capelli lunghi, il sorriso sempre presente ma misurato, la timidezza e la voglia di incidere, una bellezza data dalle azioni, come non farsi rapire da una persona così?
Il Vescovo di Como lo ha ricordato come “santo della porta accanto” perché sapeva coniugare la grandezza della Chiesa alla semplicità di un essere altruista, naturalmente portato al bene del prossimo. Don Roberto parlava poco e agiva molto, colmava le lacune di un tessuto sociale assente, considerava le persone che soccorreva come anime e non in base ai loro passaporti. Nel suo vocabolario non esistevano le parole migranti, extracomunitari, stranieri, tutti potevano avere bisogno, dall’italiano che aveva perso tutto per un divorzio, al tunisino che aveva affrontato un lungo viaggio per arrivare.
E il risultato delle azioni sta tutto nelle parole della gente, che è stata privata di un totem, un punto di riferimento del volontariato attivo. Ma è giusto tutto ciò? Si può morire come martiri nel 2020 o la società ha una qualche responsabilità in questa prematura scomparsa?
Don Roberto accoglieva laddove lo Stato chiude, riscaldava laddove c’era freddo, offriva cibo laddove la gente veniva lasciata morta di fame, regalava un’opportunità in una società senza lavoro. Può il singolo sopperire a tutto ciò? Ed è giusto così? Il volontariato è veloce, è azione spontanea, è fondato sull’uguaglianza e sulla non discriminazione, è felicità bella perché naturale ma mai approfittarne!
Lo Stato percorre strade comode, quelle più battute perché più sicure, Don Roberto non aveva paura di percorrere le strade meno battute, anche se più violente ed aggressive, parlava poco ma era amico di tutti perché la vera amicizia risiede nelle gesta.
Un bel messaggio per una Chiesa sempre più distante, soprattutto dai giovani, un concentrato di umanità che ha attratto negli anni un numero sempre più consistente di ragazzi che si è riunito in Legàmi, un gruppo che adesso piange il suo “leader spirituale”. Si incontravano, due volte al mese, riflettevano, pregavano e poi andavano immediatamente all’azione, con una fetta di torta e qualcosa di caldo ma soprattutto con la voglia di parlare e riscaldare l’anima
Don Roberto è un esempio da tenere bene a mente, un richiamo per le nuove generazioni a fare qualcosa per gli altri, perché il prossimo è meritevole di attenzione al pari di ognuno di noi, la morte di Don Roberto dovrebbe far sentire in colpa più di qualche persona perché certi temi non vanno solo discussi ma anche affrontati.
Don Roberto ha cambiato strada ma non lo spirito con cui affronterà l’ennesima via dell’amore.