Si tratta di criteri e limiti che le realtà del Terzo Settore devono rispettare nello svolgimento di azioni diverse da quelle di interesse generale.
Le attività di “interesse generale”, elencate nell’art. 5 del CTS, sono le principali che gli Enti del Terzo Settore possono praticare secondo il d.lgs 117/2017. Si tratta di un elenco di circa 26 tipologie di attività, che potranno essere ampliate e modificate con le prossime riforme.
Un ente che voglia costituirsi come ente del Terzo Settore o che deve aggiornare il proprio statuto per accedere alle RUNTS, deve inserire almeno una delle attività elencate nell’art. 5 del CTS nel proprio statuto. L’attività principale, quindi, deve rientrare tra quelle riguardanti la sanità, l’assistenza, l’istruzione, l’ambiente, l’housing, l’agricoltura sociale e il commercio equo; queste sono le tipologie in cui di fatto un ente deve impegnarsi per poter essere definito “del Terzo Settore”.
Nell’ultimo decreto, però, si è fatta maggior chiarezza sulle attività non principali che gli enti del Terzo Settore possono praticare. Anche in questo caso, l’attività deve essere specificata nello statuto dell’associazione o altra tipologia di ente. Queste attività sono descritte come “diverse” ed elencate nell’art. 6 del CTS.
L’art. 6 del d.lgs 117/2017 cita che “Gli enti del Terzo settore possono esercitare attività diverse da quelle di cui all’articolo 5, a condizione che l’atto costitutivo o lo statuto lo consentano e siano secondarie e strumentali rispetto alle attività di interesse generale, secondo criteri e limiti definiti con decreto del DML di concerto con il MEF, sentita la Cabina di Regia”.
È chiaro, quindi che l’attività secondaria, ha carattere strumentale, ovvero deve supportare quella principale. Non si declina quindi in base all’oggetto, ma ha una funzione quantitativa.
Il decreto emanato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali insieme al Ministero dell’Economia e delle Finanze ha stabilito anche i criteri per evitare che l’attività secondaria oltrepassasse la funzione di quella principale.
Esistono, quindi, due criteri alternativi atti a verificare la correttezza strutturale delle attività esercitate dall’Ente e che riguardano in maniera specifica i ricavi ottenuti dalle diverse attività.
Ai sensi dell’articolo 3.1, le attività diverse si considerano secondarie rispetto alle attività di interesse generale se ricorre una delle seguenti condizioni:
- Questi ricavi non devono superare il 30% delle entrate totali dell’Ente del Terzo Settore
- Non è possibile d’altro canto, superare il 66% dei costi sostenuti dall’Ente stesso.
“Ai fini di questo calcolo per ricavi si intendono le entrate da corrispettivo per beni o servizi ceduti o scambiati dall’Ets. Si considerano entrate complessive, inoltre, quelle derivanti da quote e contributi associativi, da erogazioni liberali e gratuite, da lasciti testamentari, i contributi pubblici senza vincolo di corrispettivo, le attività di raccolta fondi e le somme ricevute tramite il 5 per mille”.
Un altro elemento importante e molto atteso che è stato inserito in questo decreto, è l’aggiunta dei “costi complessivi” che possono essere sottratti dai ricavi.
Il primo è il costo figurativo dell’impiego dei volontari iscritti regolarmente nel registro dedicato previsto dal codice del terzo settore.