Una playlist musicale personalizzata non potrà curare il virus, ma aiuta a non pensarci in maniera ossessiva.
La consapevolezza ai tempi del coronavirus? Quest’illustre sconosciuta! La visione quasi surreale di stazioni, autobus e metropolitane, in Lombardia e nelle altre regioni italiane impegnate nell’emergenza sanitaria, ha indotto ed era prevedibile un senso d’impotenza generale, conseguentemente alla paura e alla psicosi collettiva a distanza.
L’immagine di Milano semi-paralizzata e semi-vuota è sicuramente un fatto nuovo e destabilizzante, vista l’importanza strategica di questa parte del territorio, considerato il motore dell’economia italiana.
L’informazione ha contribuito, come sempre accade, ad alimentare l’isteria collettiva e la paura dell’altro, salvo poi raggiungere l’apice della tensione armonica e alla fine cercare di ridimensionare il tutto a una grand guignold’indicazioni pratiche per mantenere la calma e utilizzare le misure di prevenzione adeguate che ognuno di noi dovrebbe mettere sempre in pratica.
La leggenda che vuole che il coronavirus sia una sorta di prova generale per la fine del mondo, appare del tutto infondata da un insieme di fattori con i quali il mondo ha a che fare ogni giorno. Le polveri sottili, il cambiamento climatico, le guerre, le malattie gravi, la crisi evidente dell’economia globalizzata; tutto passa in secondo piano davanti a qualcosa con il quale dobbiamo fare i conti e che provoca meno mortalità, ma un evidente guadagno per “soliti noti”.
I prezzi dei disinfettanti alle stelle, la mascherina di Gucci quella del governatore, l’assalto post-apocalittico ai supermercati, anche in zone non ancora colpite dal virus sono solo alcuni degli sviluppi di un modello divulgativo sbilanciato, contradditorio e non funzionale alle prime armi contro l’epidemia; ossia la calma, la riflessione e la prevenzione.
Non è in discussione la professionalità di molti organi d’informazione, ma l’atteggiamento asettico e spesso poco empatico nei confronti di un pubblico fragile e spesso soggetto a facili distopie socioculturali.
Musica da quarantena
La vita va avanti e pur se rallentata nei suoi ritmi essa deve prevalere sul sensazionalismo e la paura; anche in questo caso è la musica a rivelarsi il più potente antidoto contro certe derive votate al silenzio e al sospetto. I concerti e i tanti eventi culturali annullati in questo periodo rappresentano un danno culturale prima che economico, di cui difficilmente il nostro paese riuscirà a farsi carico.
Ciononostante l’arte rappresenta l’unica convenzione sociale a non soffrire di reali derive isolazioniste, anche la tecnologia può venirci incontro, grazie alla possibilità di creare una propria playlist composta dai brani più significativi della nostra vita, da ascoltare e vivere, per sfuggire la paura e la noia, proprio durante un periodo di quarantena.
Facendo riferimento a questo periodo, verrebbe utile esorcizzare la situazione con una lista di canzoni che in qualche modo narrano proprio eventi negativi; come contagio, virus, febbre e infezione.
Si potrebbe cominciare con Airsick, di Laurel Halo, tratto da un album del 2012 ispirato proprio alla quarantena.
A proposito di previsioni apocalittiche, Cliff Martinez, esponente storico dell’indie rock americano e amico di altri grandi nomi come Captain Beefheart e Red Hot Chili Peppers, esce nel 2011 con Contagion. La colonna sonora del film omonimo di Steven Soderbergh, mostra la terra sotto attacco di un agente patogeno di origine animale.
Più che di “infezione” Fever, grande successo di Peggy Lee composta nel 1957 da Eddie Colley e Otis Blackwell, non fa riferimento ad alcuna patologia cronica ma può essere utile per stimolare il centro nevralgico dove ha sede il senso intrinseco del ritmo e della danza.
Una playlist antiinfluenzale non può ignorare Laurie Anderson e la sua Language Is a Virus, nel quale la compositrice mette in guardia sui danni di una comunicazione non attendibile, per concludere con un po’ di sano ermetismo nostrano, nei panni del Franco Battiato nazionale e la sua Bandiera Bianca, vessillo diversamente popular di un momento di estraniazione dal quotidiano, a favore di una vivacità analitica e spirituale, segno di una richiesta di tregua dal presagio di un apocalisse, ma non di una resa agli strali mefitici della semplificazione irrazionale.