COME IL COVID-19 HA PEGGIORATO LE DIPENDENZE: LO SHOPPING COMPULSIVO
Lo shopping compulsivo o sindrome da acquisto compulsivo fa parte delle cosiddette “nuove dipendenze”.
Si è creduto, infatti, fino a qualche anno fa che il termine “dipendenza” potesse essere riferito soltanto al consumo di sostanze stupefacenti e alcool.
Negli ultimi anni è stato riconosciuto come dipendenza a tutti gli effetti anche il gioco d’azzardo patologico o ludopatia, ma un fenomeno in forte aumento e oggetto di verifiche e studi è anche quello dello shopping compulsivo.
Si tratta di un impulso incontrollabile a fare spese, acquistando oggetti spesso inutili, mossi dall’istantaneo piacere procurato dall’atto stesso del comprare.
Come si può immaginare questo disturbo ha certamente delle ripercussioni sul bilancio economico dei soggetti che ne sono affetti, ma dal punto di vista psicologico la situazione si rivela più complessa.
Esistono diverse spiegazioni sulla natura della sindrome da shopping compulsivo.
La compulsione negli acquisti, infatti può presentarsi con una maggiore frequenza in coloro che hanno già sofferto di disturbi dell’umore e di scarsa autostima.
Inoltre, la dipendenza da shopping può svilupparsi anche in chi ha precedentemente sofferto di ansia, depressione o altre dipendenze, o che ne soffra ancora, presentando una comorbilità tra i disturbi.
Riconoscere questo disturbo non è semplice, dal momento che si innesca a partire da un comportamento che fa parte della vita quotidiana, da abitudini che possono sembrare normali, restando quindi latente per molto tempo. È possibile, infatti, che il disturbo venga diagnosticato solo nel momento in cui le conseguenze del comportamento disadattivo si siano già manifestate. Accade di frequente che si scopra solo successivamente al manifestarsi di disagi psico-familiari e condizioni economiche critiche.
Ciò che differenzia lo shopping comune da quello patologico, in realtà, non va ricercato nell’atto del comprare, ma nei sentimenti e nelle emozioni sperimentate dai compratori compulsivi.
La compulsione all’acquisto può essere legata, oltre che ai disturbi già menzionati, anche alla necessità di colmare un vuoto emotivo attraverso l’accumulo di oggetti, nel tentativo di esprimere ciò che si desidera essere, non accettando che i vissuti di mancanza interiore non possono essere risolti attraverso l’acquisto di elementi esterni. Ne scaturisce il senso di colpa per aver sperperato i propri averi e aver causato disagi ai propri cari, oltre che una sensazione di vuoto ancora maggiore, che ha bisogno di ancora più oggetti per poter essere colmata.
Con l’avvento del covid-19, la diffusione dei disturbi psicologici e psichiatrici è aumentata e sono peggiorate le condizioni dei soggetti già precedentemente affetti da tali disagi.
Anche lo shopping compulsivo ha subito questa impennata, specialmente durante i mesi di lockdown e quelli successivi.
Nonostante l’obbligo di restare in casa, infatti, la possibilità di acquistare semplicemente online qualunque tipo di prodotto, ha facilitato il peggioramento e, in alcuni casi, l’insorgenza della malattia.
La crisi sanitaria ha costituito un ulteriore fattore scatenante per l’insorgenza dei sintomi, a causa della noia, dello stress, dell’ansia e dei vissuti negativi che ha portato con sé. Ciò si è rivelato particolarmente vero per soggetti con problemi preesistenti di salute mentale, ma non ha risparmiato anche quanti precedentemente non mostravano comportamenti disadattivi. Così lo shopping viene utilizzato come una strategia di coping, con la speranza che riempirsi di cose possa colmare lo spazio e cancellare la solitudine, ottenendo però la delusione di un’emozione che si esaurisce qualche istante dopo aver ricevuto l’acquisto in apparenza necessario per provare benessere, ma in realtà privo di valore, un intermezzo prima di passare al prossimo acquisto.