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Ecosostenibilità

Batteri, funghi e larve mangia-plastica: ci salveranno?

Non servono grandi macchinari, studi ossessivi o innovazioni tecnologiche. L’inquinamento da plastica si può combattere con l’aiuto dei più piccoli: larve e batteri

Si parla di plastica, di inquinamento, di inquinamento da plastica. Si sa che è sbagliato abusarne, sarebbe meglio non comprarla e ci sono ben pochi rimedi all’imminente catastrofe. Eppure nel trambusto di media e coscienza arrivano delle soluzioni tanto strane quanto innovative che ci alleggeriscono dal peso di quello che sarà. Perché infondo quel che sarà, sarà. O forse no?

Correvano l’anno 2014, Cina.

I ricercatori dell’Università di Beijing scoprono che, a differenza di quello che si pensava impossibile, esiste quella chiave in natura capace di sbloccare il problema della biodegradazione delle plastiche. Il caso particolare si trova in un fungo e in un battere, rispettivamente Enterobacter asburiae YT1 e Bacillus sp. YP1, che vivono nell’intestino della comune tarma del cibo (Plodia Interpunctella) la quale è in grado di digerire e metabolizzare il tanto temuto Polietilene (PE). Una pecca: questa larva è lenta e poco efficiente.

2016: Giappone ,Porto di Sakai.

In un sito di riciclo di bottiglie dove ricercatori e scienziati di vari atenei stavano conducendo una ricerca sulle colonie di batteri ecco che ne trovano uno particolare, il mangia-plastica Ideonella sakaiensis isolato al Kyoto Institute of Technology. In questo battere sono presenti due enzimi (PETase e MHETase)  in grado di degradare e metabolizzare polimeri plastici anche noti con il nome di PET. In particolare il primo riesce a scindere il PET in una sostanza intermedia, mente MHETase si occupa della sua completa degradazione.

Un’Italiana radicata in Spagna, 2017.

Il filosofo Tedesco Hegel diceva che «Nel mondo nulla di grande è stato fatto senza passione» e questo è esattamente il caso della biologa Federica Bertocchini che seguendo la sua passione per l’apicoltura ha fatto una scoperta sensazionale.

Mentre ripuliva i favi dei suoi alveari ha trovato all’interno delle celle di cera una larva ghiotta di questa sostanza, è la comune Galleria mellonella anche chiamata tarma della cera. Fin qui nulla di strano, la tarma depone le uova all’interno degli alveari e le sue larve si nutrono della cera.  La biologa ha riunito le larve in un sacchetto di comune PE e le ha gettate, quello che non si aspettava era che dopo pochi minuti queste bestioline fossero in grado di distruggere il sacchetto e di liberarsi. Dopo il momento “Eureka! “ ha chiamato il collega Paolo Bombelli e insieme a Chris Howe hanno scoperto le capacità incredibili di biodegradazione del PE della G. mellonella, molto superiori alla sorella Plodia interpunctella. Queste larve mangiano il Polietilene e producono Glicole etilenico, usato come liquido di raffreddamento e per produrre PET.

Aprile 2018: tra Gran Bretagna e Stati Uniti.

I due ricercatori Harry Austin (Università di Porsmouth) e Gregg Beckham (Laboratorio Nazionale delle Energie Rinnovabili) stavano studiando la struttura molecolare del PETase, enzima scoperto nell’intestino dell’Ideonella sakaiensis dai colleghi Giapponesi (2016), quando l’hanno inavvertitamente  modificato. Il risultato è stato un enzima modificato con prestazioni nettamente superiori a quelle del PETase nella sua forma naturale. Gli enzimi sono molecole presenti all’interno di tutti gli organismi viventi che li aiutano nelle loro funzioni biochimiche, quali l’assimilazione delle sostanze. La speranza dei ricercatori è di continuare ad ottimizzare le prestazioni dell’enzima così da poterlo impiegare a livello industriale e su scala mondiale, il PETase  potrebbe essere usato per il riciclo delle plastiche senza utilizzare ulteriori combustibili fossili.

Belle scoperte, no?

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