Cambia il classico paradigma, le persone scelgono di vivere nella periferia, le grandi metropoli diventano soltanto luoghi dove lavorare. Stiamo assistendo a uno stravolgimento delle abitudini sociali e delle scelte economiche. Sono le tematiche affrontate e discusse a “REbuild 2019 a Milano, dove sono stati numerosi gli spunti sollevati dai promotori e dai relatori: dal nuovo real estate verso la sfida delle green cities; dal digital design con l’architettura che conferisce valore al processo, fino ad arrivare ai quartieri mix used e agli spazi ibridi; dall’edilizia off-site ai dati che possono essere ricavati dalle città coinvolgendo nel dibattito anche la community. Servono gli innovativi progetti per garantire una sostenibilità ambientale, senza tralasciare la qualità della vita. È fondamentale favorire le nuove strategie di sviluppo urbanistico pensate per migliorare l’architettura, la mobilità e le infrastrutture delle metropoli. Thomas Miorin, ideatore e presidente di REbuild, sofferma la sua riflessione sull’importanza delle periferie nel XXI secolo, comprese le azioni da intraprendere per promuovere l’ecosostenibilità ambientale.
Quale ruolo svolgeranno le periferie nel XXI secolo?
«Sono la grande sfida delle città del XXI secolo. Si tratta di restituire un’identità a porzioni di città che l’hanno persa, lavorare sul concetto di limite: la periferia non come qualcosa ai bordi della città, ma come un nuovo centro urbano. La trasformazione dello spazio costruito è indispensabile e passa dall’impegno congiunto di pubblico e privato. È un esempio il quartiere Ripamonti a Milano che ha ospitato REbuild 2019: anni fa era una zona abbandonata e degradata mentre oggi è rinata, grazie al processo avviato da privati che hanno realizzato progetti in dialogo con il comune meneghino come la Fondazione Prada, il business district Symbiosis, il coworking di Talent Garden. Sono interventi in cui la cultura, l’arte, la ricerca, l’artigianato, il design sono riusciti a mettere in gioco un percorso condiviso di rigenerazione. Ridisegnare le periferie, evitando di crearne di nuove, vuol dire però intervenire non solo sui muri delle case o degli immobili, ma anche ricucire le relazioni».
Come ripensare gli edifici per essere ecosostenibili?
«È necessario adottare processi e soluzioni capaci di coinvolgere fasce ampie di immobili. Una deep renovation con due effetti principali: dare sostanza agli obiettivi della rigenerazione urbana; aprire nuove opportunità di crescita e sviluppo a imprese e professionisti. È centrale mettere in relazione le trasformazioni dei processi produttivi, con le grandi sfide che il nostro Paese ha assunto per il 2050: una sostanziale riduzione dei consumi di combustibili fossili e delle emissioni di CO2. Il nostro patrimonio, costituito per il 76% da edifici che hanno oltre 40 anni e una classe energetica D, necessità di una riqualificazione importante che usi tecnologie e strategie innovative. È un processo che coinvolge quasi 18 milioni di abitazioni e deve essere raggiunto entro il 2050, momento nel quale dovremo avere delle città che emettono l’80% delle emissioni in meno. È più che mai necessario avviare processi di rigenerazione profonda del grande patrimonio immobiliare delle nostre periferie, delle nostre case; intervenire con riqualificazioni capaci di abbattere radicalmente non solo i profili energetici ed emissivi, ma anche i costi di manutenzione, di allungare il ciclo di vita degli immobili, rendendoli più intelligenti e reattivi, e di incrementare il livello di comfort, di salubrità, senza dimenticare la bellezza dei nostri paesaggi urbani».
L’economia circolare in che modo aiuterà la diminuzione delle emissioni di CO2?
«L’industria 4.0 già offre soluzioni per rendere possibili e persino efficienti produzioni più sostenibili. La connessione dei prodotti e delle fabbriche ci conduce verso un modo di progettare che tiene conto del ciclo di fabbricazione del prodotto, del suo utilizzo e del suo riutilizzo in una logica di sostenibilità ambientale ed economica, che non include il concetto di rifiuto, di spreco. Entriamo in un contesto dove ogni cosa ha valore: materiali, scarti, tempo non produttivo. L’edilizia rappresenta il settore che ha più bisogno di questa prospettiva, anche per ritrovare innovazione e produttività».