A partire dal 1978, grazie alla legge 194/78, una donna può richiedere l’interruzione di gravidanza fino al 90esimo giorno dal concepimento, per motivi economici, di salute, sociali e familiari.
In definitiva questa legge sancisce di fatto un diritto che le donne hanno sul proprio corpo e sulla propria vita.
Ma la questione non è mai stata così semplice, sia precedentemente sia dopo che la legge 194 è stata promulgata.
Da sempre, infatti, soprattutto a causa degli insegnamenti della chiesa, l’aborto è considerato alla stregua di un omicidio, un’operazione che interrompe un processo vitale da considerarsi già iniziato a tutti gli effetti. Quindi un peccato, tale da meritare una punizione a livello spirituale e al contempo legale.
Una visione più o meno condivisibile, partendo però dal presupposto che in effetti la questione è assai più complessa.
Come già specificato, i motivi per cui una donna può richiedere un’interruzione di gravidanza sono diversi, e non è detto che in quel momento specifico, ne stia vivendo uno solo.
Luciana Littizzetto, durante una puntata di “Che Tempo Che Fa”, ha dedicato una lettera al Senatore Gasparri, in uno stile leggero ma molto centrata.
“Come posso sapere io come si sente una donna violentata che porta in grembo il frutto di quello strazio? Come posso sapere io come si sente una donna alla quale il medico ha detto che il bambino che sta crescendo dentro di lei dovrà vivere una vita intera di sofferenza? Come posso sapere io come si sente una ragazzetta di 15 anni che cercava amore e si è ritrovata mamma per errore? Come posso sapere io come si sente una donna sola, senza soldi, magari con altri figli che già non riesce a sfamare. E come posso sapere io come si sentono un sacco di altre donne che scelgono di non essere mamme per chissà quali motivi”.
Maurizio Gasparri, dall’insediamento del nuovo Governo, ha proposto una modifica all’articolo 1 del Codice Civile, che riconosce la capacità giuridica di un individuo a partire dal momento della nascita. Riconoscere la capacità giuridica, quindi, al momento del concepimento, limiterebbe di molto l’applicazione della legge 194, nonostante il Senatore abbia chiarito che lo scopo della sua proposta non sia quello della rimozione della legge.
Giulia Crivellini, avvocata esperta di diritti civili della campagna “Libera di abortire” spiega però: “Il principio giuridico che equipara il concepito alla persona finirebbe sostanzialmente per far venire meno la 194: l’immediata conseguenza sarebbe quella di dover perseguire la donna che abortisce per omicidio”.
Ciò che pare ovvio, in ogni caso, è che l’aborto sia sempre più (o sempre stato) un affare politico, questione affidata o liberamente impugnata da chi, in sostanza, dell’aborto non deve farne esperienza, spesso uomini o anche donne, che nascondendosi dietro la facciata di un femminismo dichiarato, di fatto, cercano di togliere alle donne un diritto, tanto necessario, quanto doloroso.
La legge 194, non impone a una donna di abortire, le conferisce la possibilità di una scelta, la capacità di decidere, qualora abbia difficoltà economiche, sociali, di salute o qualsiasi tipo di altra problematica, cosa sia meglio per se stessa.
Ma da sempre è proprio questo il punto centrale di affari politici, sociali, familiari e religiosi: quali sono i diritti delle donne? Quali scelte possono autonomamente fare sulla la propria persona?
L’idea di essere un Paese avanzato, in cui una donna è considerata libera per il solo fatto, ad esempio, di non essere costretta a indossare un velo come in altre culture, è una percezione, un camuffamento, che cela mille stereotipi, pregiudizi, limitazioni e ingiustizie.