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Economia

Dopo Draghi: le contraddizioni della BCE e quelle dell’euro

Dopo otto anni di mandato, il presidente uscente della Banca centrale europea, Mario Draghi ha formalmente passato il testimone a Christine Lagarde, ex direttrice del Fondo Monetario Internazionale.

Quale la “lezione” che il mandato di Draghi consegna a Francoforte e alla storia dell’integrazione europea? L’autentica eredità che Draghi lascia a Francoforte è probabilmente quella di aver messo a nudo le contraddizioni insuperabili di una BCE pronta a fare “tutto il necessario” per preservare l’euro, entro i limiti di un mandato e di un’architettura istituzionale che rendono di per sé l’euro non sostenibile. Con Draghi la BCE ha mostrato di poter sfruttare creativamente tutti i margini percorribili nell’ambito del mandato assegnatole dai trattati, ampliando di fatto i suoi poteri e capacità di intervento in breve tempo e a un livello impensabile fino a dieci anni fa. Proprio perché è rimasta fedele ai confini del suo mandato, la BCE di Draghi ha potuto scongiurare il repentino tracollo dell’euro, senza però risolverne la crisi strutturale.

La BCE di Draghi, infatti, ha dato vita a una politica monetaria espansiva sostenendo allo stesso tempo la politica di rigore fiscale di impronta merkeliana adottata in risposta alla crisi dei debiti sovrani. Il risultato finale di questa ricetta, dal sapore tipicamente monetarista, è stato quello di sedare temporaneamente la speculazione sui titoli di Stato dell’euro-periferia nei momenti più critici della crisi dell’eurozona, ma senza aver determinato una ripresa tale da riportare i livelli di inflazione alla soglia desiderata del 2%. La BCE ha creato liquidità che ha inondato i mercati finanziari, senza ridare stimolo agli investimenti e all’occupazione per l’eurozona nel suo complesso e in maniera duratura. Il denaro stampato dalla Banca centrale è servito prevalentemente a sostenere i bilanci delle banche dell’eurozona e la grande industria esportatrice (attraverso la svalutazione dell’euro e il programma di acquisto di obbligazioni societarie), assecondando così il modello neo-mercantilistico tedesco. Un supporto finanziario che non ha tenuto conto dell’impatto ambientale delle imprese beneficiarie, come denunciato dell’osservatorio europeo sulle lobby. 

(da: pixabay.com)

La politica monetaria straordinaria è stata complementare ed essenziale alla filosofia dell’austerity che ha informato la politica economica europea dal 2011 in poi, assicurandone la realizzazione. La prima ha dato ossigeno ai Paesi dell’euro-periferia, scongiurandone il default e la rottura dell’eurozona, a un costo ben preciso: quello di accelerarne la ristrutturazione delle economie, mercati del lavoro e sistemi di welfare nazionali, in senso ordo-liberale. La BCE è stata una delle tre istituzioni della Troika che ha stilato e presieduto al rispetto dei programmi di austerità imposti alla Grecia e ai Paesi sotto i programmi di assistenza finanziaria. Senza risparmiare le maniere forti per rimettere in riga “disobbedienti”: come quando nel 2015 Draghi e il consiglio esecutivo congelarono i livelli della liquidità di emergenza alle banche greche, dando così il colpo di grazia al governo Tsipras. Fedele alla linea del rigore, la BCE ha sempre sostenuto e promosso attivamente, per l’Italia e per tutta l’euro-periferia, la necessità di procedere sulla strada delle “riforme strutturali”, nel senso della riduzione del disavanzo pubblico, della contrazione dello Stato sociale, dei programmi di liberalizzazione e privatizzazione dei settori strategici. Il richiamo alle politiche fiscali espansive, fatto fino all’ultimo dal governatore uscente, si è sempre riferito solo ed esclusivamente ai Paesi con bilance commerciali in surplus: la Germania in primis.Da questo punto di vista Draghi è stato un autentico custode del “monetarismo” della BCE, in un momento storico in cui i “monetaristi” più radicali, come Weidmann e i falchi del nord Europa, avrebbero fatto affondare la loro stessa creatura, per eccesso di ortodossia. Un audace guardiano dell’euro e delle sue contraddizioni, che ha preservato in tutti i modi, a costo di prolungarne la crisi.

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